A scuola con Ted Lasso
Da tre anni che giugno è diventato il mese delle valigie, farcito da una carrellata di scrutini, esami e riunioni finali. Un breve giro di saluti e poi via, lungo quella vecchia amica dell’A14.
Se c’è una cosa che ancora fatico a digerire è l’idea che tra qualche mese tutto si azzera. Nuova scuola, nuovi colleghi, nuove classi.
I ritmi degli anni scolastici, a me, hanno sempre ricordato quelli sportivi: le stagioni iniziano più o meno tutte tra agosto e settembre e finiscono entro giugno, c’è pure la pausa natalizia a renderli così simili e d’estate si va in pausa.
Una delle cose che mi piace di più dello sport, per esempio, è quando un giocatore decide di stare più anni nello stesso posto. Non dico fare un’intera carriera con la stessa squadra, per carità, ma almeno quattro-cinque anni non mi sembrano poi così eccessivi. Di quelli che invece si trasferiscono ogni anno in un club diverso sono sempre stato molto diffidente.
Sport e scuola, però, si sovrappongono fino a un certo punto, soprattutto se penso alle mie cinque scuole diverse cambiate nei primi tre anni di lavoro.
Funziona così e basta, m’hanno detto. Quando suona l’ultima campanella dell’anno si saluta e fine. Più sei stato bene durante l’anno e più stai male quando bisogna andare.
Questo giugno, però, è stato diverso perché in un periodo difficile da gestire sul piano emotivo c’è finita una serie, Ted Lasso, con tutte e tre le sue stagioni che m’hanno fatto compagnia.
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Le mie storie, qualche riga su i film di oggi e di ieri, e piccoli appunti sparsi su quello che faccio. Ogni tanto te lo dico per email.
Ted Lasso è un allenatore di football americano, ma si ritrova ad allenare il Richmond, una squadra inglese di calcio, in seguito a un piano machiavellico pensato dalla nuova presidente: far fallire la squadra del suo ex marito affidandola a un coach di uno sport completamente diverso. Ted non lo sa e si preoccupa solo di svolgere al meglio il suo ruolo. Non conosce bene le regole del calcio, non c’ha mai giocato e fa pure fatica a seguire l’andamento di una partita. Ha una ventina di ragazzi da gestire e in tanti sono convinti che durerà sì e no qualche settimana prima di abbandonare l’incarico.
Eppure Ted trova un modo molto pratico per venirne a capo: investire sulle persone e costruire un gruppo. Non parla mai di schemi o tattiche (anche perché non saprebbe cosa dire), ma si concentra sui problemi che i suoi ragazzi hanno fuori dal campo, li aiuta a dare voce alle loro paure, cerca di trovare la chiave giusta con ognuno di loro e ha fiducia che i contrasti che si creano in gruppo il più delle volte possono mettersi a posto senza punizioni, ma lasciando correre.
Non c’è stato un episodio della serie in cui non mi sia venuta la tentazione di farlo vedere a scuola ai ragazzi. Eravamo ormai agli ultimi giorni di scuola, le scadenze stringevano e c’era solo tempo per qualche interrogazione o ripasso in vista degli esami.
Però mi era rimasta una scena in particolare che in qualche modo volevo arrivasse a loro.
Dopo alcuni cattivi risultati Ted si trova con un gruppo spaccato e una tifoseria che lo contesta. Nel corso di una partita in casa, la squadra va sotto di due gol e riesce a pareggiare poco prima che l’arbitro fischi la fine del primo tempo. All’intervallo entrano tutti negli spogliatoi e Ted dice ai suoi giocatori: “ragazzi siamo a pezzi, dobbiamo cambiare”. Il suo è un discorso che ancora una volta non c’entra niente con lo sport e riguarda il comportamento, l’attitudine di una persona ad avere un atteggiamento diverso nella vita e quanto può fare la differenza. All’inizio dell’anno sopra la porta dello spogliatoio Ted aveva appeso un cartellone dove c’è scritta una parola sola:
BELIEVE
Dà uno schiaffo forte a quel cartellone, in modo che la parola possa rimanere nella testa dei suoi ragazzi e poi lascia lo spogliatoio.
Non potendo vedere Ted Lasso in classe ho preferito ritagliare quella parola dalla serie e portarla nei miei ultimi giorni di scuola. C’è chi l’ha scritta sulla maglietta, chi sul diario, chi sul braccio o sulla suola delle scarpe.
Crederci era diventata la parola d’ordine, diventando la peggior nemica dell’Ansia.
Quest’anno credo di aver toccato davvero con mano un problema enorme del presente e del futuro: la fragilità emotiva dei ragazzi. Tutti conoscono bene l’ansia, la pressione e in pochi si rendono davvero conto di quanto possano fare sentendosi davvero liberi.
Per tutto questo mese di giugno ho scelto di parlare pochissimo. Anche durante gli esami, mentre i miei colleghi quasi mi incitavano a fare qualche domanda ai ragazzi, mi sono reso conto di preferire a volte il silenzio.
Chi si presentava all’orale doveva crederci, mi bastava sapere questo.
Tornando a casa, dopo l’ultimo giorno di esami, ho guardato la mia libreria. Tutti quei manuali che mi aiutano a preparare delle lezioni. E ho pensato che un posto d’onore, in quella libreria, doveva prenderselo Ted Lasso.
Che, tra le altre cose, m’ha insegnato che non bisogna stare così male per un posto che si deve salutare. Specie se lì hai avuto il tempo di lasciare un pezzo, di credere.